

Le prime tracce di vita risalgono all’epoca falisca e poi romana, quando il territorio era punteggiato da ville rustiche, strade lastricate e luoghi di culto pagani. Allora come oggi, l’acqua del fiume scorreva lenta, testimone silenziosa dei secoli.
All’ombra dei boschi e sulle sponde del Treja, il piccolo borgo di Mazzano affonda le sue radici in tempi remoti. Le prime tracce di vita risalgono all’epoca falisca e poi romana, quando il territorio era punteggiato da ville rustiche, strade lastricate e luoghi di culto pagani. Allora come oggi, l’acqua del fiume scorreva lenta, testimone silenziosa dei secoli.
Con la caduta dell’Impero romano e le incursioni barbariche, le genti si rifugiarono sulle alture, fortificando i nuovi insediamenti. È in questo contesto che sorse il castrum Mazzani, il castello di Mazzano, che compare per la prima volta in un documento del 14 gennaio 945, quando Alberico II, console e duca di Roma, lo donò al monastero romano dei Santi Andrea e Gregorio al Celio.
Per quasi sei secoli, il monastero esercitò il proprio controllo su Mazzano, amministrando le terre e i diritti locali attraverso procuratori, rettori e notai. Si pregava, si coltivava, si commerciava. Il borgo si sviluppò attorno al mulino, agli orti e alle case dei contadini. Ma non mancarono le tensioni: diverse famiglie baronali, tra cui i conti di Anguillara, ambivano a queste terre fertili e strategiche.
Con la caduta dell’Impero romano e le incursioni barbariche, le genti si rifugiarono sulle alture, fortificando i nuovi insediamenti. È in questo contesto che sorse il castrum Mazzani, il castello di Mazzano, che compare per la prima volta in un documento del 14 gennaio 945, quando Alberico II, console e duca di Roma, lo donò al monastero romano dei Santi Andrea e Gregorio al Celio.
È verosimile che la popolazione mazzanese accolse con favore il nuovo assetto, forse stanca delle rigidità monastiche e attratta dalla prospettiva di una maggiore autonomia locale sotto i nuovi signori laici. Possiamo immaginare quel giorno come un momento solenne ma carico di speranza. In una piazza viva di voci e curiosità, i rappresentanti del monastero lessero ad alta voce l’atto di vendita. Poi, in un silenzio rispettoso, dall’arco del borgo fece il suo ingresso la famiglia Anguillara: eleganti, fieri, consapevoli del peso di quel gesto. La popolazione — contadini, artigiani, donne e ragazzi — si affacciava dalle porte e dalle finestre, qualcuno salutava con un cenno, qualcuno offriva pane o vino. Non ci furono resistenze: non fu una conquista, ma un passaggio di consegne, forse discusso da tempo, forse atteso.
Un’epoca si chiudeva, ma il borgo restava. Le sue pietre antiche raccontano ancora oggi la storia di uomini e donne, di monaci e guerrieri, di contadini e notai. E ogni anno, la Giostra delle Contrade ne rievoca la memoria: tra tamburi, stendardi e fiaccole, il passato torna a vivere nel cuore della nostra comunità.
Tra il Trecento e il Quattrocento, gli Anguillara — potenti signori dell’Agro Romano — cercarono più volte di estendere il proprio dominio su Mazzano. Ne scaturì una lunga controversia che vide monaci e nobili fronteggiarsi davanti alla curia pontificia, tra occupazioni militari e processi legali, fino alla sentenza del 10 dicembre 1473, che restituì il castello al monastero, confermando il suo pieno diritto di possesso. Ma l’equilibrio era ormai precario. Nel 1526, con atto solenne, il monastero del Celio cedette definitivamente il castello di Mazzano ai conti di Anguillara. Fu la fine del dominio ecclesiastico e l’inizio di una nuova signoria nobiliare.
Tra il Trecento e il Quattrocento, gli Anguillara — potenti signori dell’Agro Romano — cercarono più volte di estendere il proprio dominio su Mazzano. Ne scaturì una lunga controversia che vide monaci e nobili fronteggiarsi davanti alla curia pontificia, tra occupazioni militari e processi legali, fino alla sentenza del 10 dicembre 1473, che restituì il castello al monastero, confermando il suo pieno diritto di possesso.


È verosimile che la popolazione mazzanese accolse con favore il nuovo assetto, forse stanca delle rigidità monastiche e attratta dalla prospettiva di una maggiore autonomia locale sotto i nuovi signori laici. Possiamo immaginare quel giorno come un momento solenne ma carico di speranza. In una piazza viva di voci e curiosità, i rappresentanti del monastero lessero ad alta voce l’atto di vendita. Poi, in un silenzio rispettoso, dall’arco del borgo fece il suo ingresso la famiglia Anguillara: eleganti, fieri, consapevoli del peso di quel gesto. La popolazione — contadini, artigiani, donne e ragazzi — si affacciava dalle porte e dalle finestre, qualcuno salutava con un cenno, qualcuno offriva pane o vino. Non ci furono resistenze: non fu una conquista, ma un passaggio di consegne, forse discusso da tempo, forse atteso.
Un’epoca si chiudeva, ma il borgo restava. Le sue pietre antiche raccontano ancora oggi la storia di uomini e donne, di monaci e guerrieri, di contadini e notai. E ogni anno, la Giostra delle Contrade ne rievoca la memoria: tra tamburi, stendardi e fiaccole, il passato torna a vivere nel cuore della nostra comunità.

Tra il Trecento e il Quattrocento, proprio gli Anguillara cercarono più volte di estendere il proprio dominio su Mazzano. Ne scaturì una lunga controversia che vide monaci e nobili fronteggiarsi davanti alla curia pontificia, tra occupazioni militari e processi legali, fino alla sentenza del 10 dicembre 1473, che restituì il castello al monastero, confermando il suo pieno diritto di possesso.
Ma l’equilibrio era ormai precario. Nel 1526, con atto solenne, il monastero del Celio cedette definitivamente il castello di Mazzano ai conti di Anguillara. Fu la fine del dominio ecclesiastico e l’inizio di una nuova signoria nobiliare. Secondo la tradizione e le testimonianze indirette, il popolo mazzanese accolse con favore il nuovo assetto, forse stanco delle vecchie rigidità monastiche o attratto dalla promessa di una maggiore autonomia locale sotto i nuovi signori laici.
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Per quasi sei secoli, il monastero esercitò il proprio controllo su Mazzano, amministrando le terre e i diritti locali attraverso procuratori, rettori e notai. Si pregava, si coltivava, si commerciava. Il borgo si sviluppò attorno al mulino, agli orti e alle case dei contadini. Ma non mancarono le tensioni: diverse famiglie baronali, tra cui i conti di Anguillara, ambivano a queste terre fertili e strategiche.


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